Miraggi – tra presenza e assenza
Le immagini che Elio Guazzo, studente di pittura all’Accademia di Belle Arti milanese, evoca nelle sue opere figurative sono simili a miraggi. Sagome che si prefigurano come apparizioni volatili, parlano di una presenza che è anche assenza. I suoi soggetti nascono così dalla superficie: imprendibili, impalpabili e leggeri.
PRESENTAZIONE
-Allora… raccontaci un po’ da dove vieni, chi sei, quanti anni hai?
Mi chiamo Elio Guazzo, ho vent’anni, vengo da Milano e sto per iniziare il secondo anno di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.
-Di cosa ti occupi?
Principalmente disegno, tuttavia sto cercando di trovare un mio equilibrio tra disegno, pittura e tutto ciò che vi è nel mezzo, sperimentando nuovi accostamenti di forme, colori, materiali e vuoti. Nell’ultimo periodo sto riflettendo molto sull’elemento della sagoma come contrappeso di fronte alla leggerezza dell’assenza e la pesantezza della presenza. Mi trovo spesso a realizzare corpi solidi realistici ma privi di peso in quanto sospesi in una dimensione inesistente nella quale emergono solo alcuni elementi la cui presenza contribuisce a dare concretezza al vuoto e all’assenza.
INTERESSI
-Ti piace la musica? Hai un cantante, gruppo preferito?
Di sicuro la musica è di fondamentale importanza quando devo disegnare o dipingere. Non ho un genere preferito, ciò che mi piace realmente è la musica in sé non il suo genere o chi la fa, posso passare dalla musica classica di Ryuichi Sakamoto ai Black Sabbath, dai King Crimson a Rakim, Smif-N-Wessun etc.
-Qual è la forma d’arte che preferisci? (da andare a vedere/ a cui assistere: fotografia, pittura, scultura, performance, ecc..) C’è un artista contemporaneo che consideri assoluto o che sia una fonte d’ispirazione?
Apprezzo qualsiasi forma d’arte, tuttavia, mi sento più vicino alle arti figurative, vedo la realisticità e la concretezza come qualcosa da raggiungere. I miei artisti contemporanei di riferimento sono Christian Holstad, Daniel Segrove, Mario Giacomelli, Roger Ballen e Ryohei Tanaka. Mi affascina molto il loro modo bilanciato di rappresentare la realtà, la loro essenzialità e al contempo la cura per il dettaglio.
-C’è un momento della giornata che ti piace particolarmente?
La sera e la notte credo siano i momenti in cui mi sento più vivo e più produttivo.
LAVORO
-Come nasce il tuo interesse per la ricerca artistica?
Non saprei dirlo, non è proprio nato, lo considero più come un bisogno naturale costante. Ne sono diventato consapevole solo crescendo, ma è sempre stato qualcosa che mi dava e mi dà soddisfazione, ho iniziato da piccolo disegnando i miei gatti e successivamente sono passato ad altri soggetti. Ho capito di voler portare avanti questo mio bisogno e interesse in maniera più seria alle scuole medie. Il liceo artistico ha solo ulteriormente riconfermato questo mio sentire.
-Da dove ti è venuta l’idea e come ci sei arrivato?
L’idea è nata da sola, pian piano ho riconosciuto certi elementi ripetitivi, anche se inconsci, che successivamente ho approfondito anche attraverso lo studio e l’esperienza. Una svolta fondamentale è stata la lettura di Lezioni americane di Calvino, mi ha fatto riflettere molto sul tema della leggerezza e della sagoma come elemento di equilibrio in quanto presenza in assenza.
-Un’emozione che sapresti nominare mentre lavori?
Faccio fatica a individuare un’emozione precisa che provo mentre lavoro. É come se stessi meditando, mi distacco da tutto il resto e penso solamente a quello che sto facendo. Nel dopo, invece le emozioni che provo più frequentemente sono soddisfazione o frustrazione.
-Prima di cominciare a lavorare hai già chiara l’idea di come sarà il tuo lavoro?
Assolutamente sì, credo di essere un maniaco del controllo in quel senso in quanto la maggior parte delle volte ho bisogno di progettare la composizione prima di procedere con il lavoro in modo tale da gestire meglio gli spazi pieni e quelli vuoti. Quando si tratta invece di una composizione più essenziale allora il lavoro si costruisce volta per volta, se mi sembra spoglio aggiungo nuovi elementi, se è troppo carico li sottraggo.
-Che ruolo svolgono i titoli per te? E quando li assegni? Di solito i titoli vengono prima o dopo che hai finito il tuo lavoro?
I titoli credo siano la parte più difficile, li considero “chiavi di lettura” dell’opera e per tale motivo li do solo quando quest’ultima è terminata. Non credo debbano essere troppo espliciti o descrittivi perché in quel caso tolgono all’opera ciò che cela in sé. Secondo me, devono solo suggerire qualcosa in chi li legge, non deve essere una spiegazione precisa ma solo uno spunto di riflessione.
-Quand’è che senti che un lavoro è finito?
Credo che un lavoro sia finito quando viene raggiunto un certo equilibrio visivo, quando si eccede l’opera risulta essere troppo soffocante mentre quando ci si trattiene troppo risulta essere spoglia di sostanza.
-Ti capita di doverti fermare mentre stai lavorando, perché non hai in casa il tipo di pezzo o di materiale che ti serve, e di dover aspettare finché non lo trovi?
Sfortunatamente sì. Sono abbastanza selettivo con i materiali che utilizzo ad esempio il colore di certe carte o la loro grammatura, quindi, quando non ne ho più devo per forza fermarmi e procurarmi del nuovo materiale. Spesso questa ricerca si rivela essere una cosa positiva perché mi permette di esplorare nuovi materiali, di sperimentare e trovare nuove soluzioni e approcci.
-Raccontaci come nasce un tuo lavoro. Parti da un’idea, una sensazione o che altro?
Il mio lavoro a volte nasce da un’immagine visiva che mi affascina o da un’idea che nella mia testa inizia già ad essere visiva e da quell’elemento inizio a costruire una composizione, aggiungendo nuovi elementi e sottraendoli. Spesso le idee più interessanti mi vengono intorno alle due di notte.
-Hai fatto un percorso all’accademia di Belle Arti; come descriveresti questo viaggio, come ti sei trovato? Immaginiamo che questo percorso ti abbia lasciato qualcosa, degli strumenti di lavoro che utilizzi o delle influenze particolari.
Ho frequentato solo il primo anno quindi sfortunatamente non ho ancora vissuto l’atmosfera di Brera, ma già il rapporto che si è formato con alcuni studenti e professori ha cambiato il mio modo di vedere le cose non solo a livello artistico, ma anche a livello personale. È come se mi sentissi più leggero, libero di esprimermi e di sperimentare. Il rapporto con gli altri studenti è quello che mi sta dando di più, c’è un continuo scambio di idee, consigli, critiche costruttive ed esperienze.
-Qual è il tuo lavoro che finora è stato più apprezzato? E quale quello che tu preferisci?
Il lavoro che è stato più apprezzato credo sia Quiete dell’abbandono; tuttavia, personalmente quello che mi ha dato più soddisfazioni è stato il mio primo sketchbook fatto a mano, non solo perché ho creato qualcosa dal nulla ma anche per i soggetti rappresentati. Tuttavia credo siano tutti lavori ancora molto acerbi su cui devo ancora lavorare.
INTERAZIONE CON IL MONDO ESTERNO
-I social sono ormai una piattaforma indispensabile per pubblicare i propri lavori ed essere conosciuti; tu come vivi questa dimensione, e soprattutto, quanto la reputi importante per ciò che fai?
I social sono utili per la visibilità, per conoscere nuovi artisti e nuovi approcci all’arte; tuttavia, ogni tanto ho bisogno di prendere le distanze in quanto mi sento sopraffare da tutte le immagini e le informazioni che mi ritrovo davanti per quanto possano essere utili.
-Quali sono i tuoi prossimi obbiettivi e progetti?
L’unico obiettivo al momento è quello di maturare a livello artistico, di trovare un mio stile che non mi limiti e che al contempo mi soddisfi. Il problema concreto principale è il supporto giusto, devo trovare qualche materiale che sia abbastanza liscio da disegnarci sopra ma non troppo leggero da imbarcarsi se dipinto. È un vero dramma.
-Infine, ci indicheresti tre giovani artisti che stimi ed ammiri di Milano?
Giorgia Guaglianone (@___the___goldfinch___), Benedetta Stablum(@benactivee) e Maria Elisa Caguiat (@maria.elisa_caguiat) sono punti di riferimento quando ho qualche dubbio.
Ringraziamo Elio per aver risposto alle nostre domande, continuate a seguirlo sul suo profilo Instagram
VentocentoArtMagazine http://venticento.altervista.org/