Materia parlante.
Sara Zaghetto, laureata al biennio dell’Accademia di Brera in pittura, si esprime attraverso la materia, creando magnifici oggetti e gioielli che sanno raccontare. Nelle sue mani, la materia diventa parlante.
PARLAMI DI TE
-Allora Sara, raccontaci un po’ da dove vieni, chi sei?
Non c’è qualcosa che mi appartiene davvero, ma c’è molto a cui io appartengo. Sono il luogo da cui provengo, molto semplicemente. Anche in città mi sento sempre parte di una famiglia di gatti selvatici, continuo ad inseguire ombre e luci come se fossi in un bosco e sono sempre alla ricerca di ossa.
-Quanti anni hai? Ti rispecchi in questo numero o ti senti di una differente età?
Quest’anno a novembre saranno venticinque. Non ho mai avuto il fascino per i numeri, per me rappresentano solo cifre. Posso solo dire che da quando mi conosco, non è cambiato granché!
–Se dovessi usare solo tre parole per descriverti, quali useresti, e come mai?
Riassumere non sarà mai tra le mie doti, sono una fobica delle condensazioni, dell’immobilità. Ma a descrivermi bene ci pensano sempre questi tre sintagmi: tutto è guerra .
-Cosa fai nella vita?
Mille cose, come capita sempre a chi continua a cercare. La mia unica regola è che sia la passione a guidare qualsiasi cosa realizzo: creo gioielli e accessori, collaboro con alcune gallerie in Italia e all’estero, realizzo illustrazioni per alcune band, mi occupo di fotografia e lavoro in ufficio. Ogni tanto scappo.
INTERESSI
-Parliamo un po’ di interessi personali, qual è il tuo genere musicale preferito? C’è un film che secondo te tutti dovrebbero vedere?
Sono i momenti della vita a determinare ogni cosa: non mi piace incasellarmi in un’etichetta, sono perennemente in trasformazione ma per natura la musica che cerco è sempre underground : ambient, metal, folk, post rock… ma più in generale tutto ciò che mi tocca nel profondo entra in loop nella mia playlist. Per quanto riguarda i film nessuno dovrebbe perdersi American Beauty, Inception, Gone Girl, Eternal Sunshine of the Spotless mind e True Detective.
-Che tipo di arte preferisci? (da andare a vedere, fotografia, pittura, antica moderna contemporanea etc.) C’è un artista contemporaneo che consideri assoluto?
Io dico sempre di avere due madri spirituali: Kiki Smith e Louise Bourgeois. Trovo che l’arte antica ed i siti archeologici abbiano un fascino ineguagliabile; grandi influenze sono stati Klimt, Mucha, ed i poco conosciuti illustratori del nord Europa, insieme alla fotografia contemporanea ed il fashion design.
-Hai interessi al di fuori del mondo artistico?
In realtà prima o poi tutto ciò di cui mi interesso entra a far parte del mio lavoro, dalle neuroscienze al folklore. Sono un’amante della natura e dei libri, che sono rifugio e stimolo allo stesso tempo.
ARTE
-Parlando della tua passione per l’arte, ci sarà stato un evento scatenante o un qualcosa che ti ha portato ad avvicinarti, e a scegliere questo tipo di carriera; ti ricordi il momento in cui hai iniziato ad approcciarti con la tua forma artistica? cosa ti ha colpito così tanto da farla diventare il tuo principale metodo di espressione?
Per me è sempre stato naturale, disegno e colleziono oggetti e piccole cose che trovo da che ho memoria. Sono un’ottima regista di film mentali, fantastico e sogno molto: il non accontentarmi del reale e il desiderio di rivivere gli attimi mi porta inevitabilmente a dover comunicare un mondo interiore attraverso metafore.
-C’è qualcosa da cui prendi ispirazione per i tuoi progetti artistici non lavorativi?
Nel mio lavoro musica, letteratura e cinema sono importantissimi: quasi sempre tutto parte da una strofa, un racconto, un’immagine, uno sguardo, un profumo, un dente, un nido d’ape.
-Quale artista usi come modello di riferimento?
Sempre Kiki Smith.
-Hai fatto un percorso all’accademia di belle arti; come descriveresti questo viaggio, come ti sei trovato? Immaginiamo che questo percorso ti abbia lasciato qualcosa, degli strumenti di lavoro che utilizzi o delle influenze particolari.
È stato un percorso personale più che formativo, in cui mi sono imposta di spostare un po’ più in là il limite delle mie capacità. Non parlo solo di quelle “artistiche”, ma anche di quelle “umane”: non perdersi quando ci sono mille stimoli ma nessun punto di riferimento è stata la sfida più grande, e posso dire con piacere che ciò che c’era prima non solo è rimasto intatto, ma si è rinforzato. È stato come imparare a parlare per la seconda volta, dove ho imparato ad accettare la diversità e me stessa senza pensarci come a qualcosa da sanare.
Studiare in un’accademia è significato, dal lato pratico, avere la possibilità di attingere da una fonte di sapere eterogenea e sempre fresca, oltre che incontrare mille opportunità per costruire un percorso.
-Per cosa sei conosciuta?
Principalmente disegnavo, quindi ho iniziato partecipando ad alcune mostre e manifestazioni con lavori su carta, fino a che non mi è bastato più. La materia ha un grande fascino per me, dico sempre che mi parla, ed io cerco di raccontare quello che le sento dire. Così ho iniziato a creare installazioni e piccole sculture, fino ad arrivare ai gioielli e agli accessori.
-Perché fai quello che fai?
È una necessità fisiologica, letteralmente legata al mio benessere psicofisico. Dato che il paradosso è un mio parente stretto. Sono una chiacchierona taciturna, non mi sono mai bastate le parole per raccontare quello che volevo dire.
LAVORO
-Nel tuo lavoro, da cosa prendi ispirazione?
Ogni oggetto è un racconto rubato; si tratta sempre furti e restituzioni, di gazze ladre e di cantastorie. Ogni bagliore viene restituito in un racconto, nell’urgenza di mettere insieme i pezzi, di rattoppare, ricucire, ricongiungere. Gli oggetti cantano, raccontano di sogni, di ricordi e di luoghi; nascono dalla scoperta di piccole cose che a loro volta ne rivelano altre, come la solitudine dei ragni che si nascondono nei nidi abbandonati di vespe, o come a le reazioni chimiche delle ossidature che divorano ed impolverano il metallo, strato dopo strato, cose su cose dopo cose non dette.
-Ci racconteresti il tuo processo per arrivare a un’opera conclusa: parti da un concept, fai della ricerca specifica, o ti lasci trasportare dalle tue sensazioni?
In genere tutto nasce come ho detto da momenti e da riflessioni particolari: la mia cerca di essere un’indagine sulla natura umana; parto spesso da perplessità e da ciò che non ha una forma ma è piuttosto un “sentire”. Ogni cosa ha una storia e tutto parla d’altro. Mi piace pensare ad ogni frammento come ad un universo. Sono molto istintiva, mi lascio guidare e resto in ascolto …lascio che le cose mi parlino ed i significati affiorano…o meglio, sono molto più comprensibili a posteriori, quando a lavoro finito taglio il cordone ombelicale a quello che ho partorito.
-I social sono ormai la piattaforma ideale per un artista emergente per pubblicare i propri lavoro ed essere conosciuti; tu come vivi questa dimensione, e soprattutto, quanto la reputi importante per il tuo lavoro?
Beh…i social sono una manna per chi come me è negato con l’autopromozine e non ama i contatti. Essere visibili su una piattaforma di portata globale non è poca cosa. Da una parte trovo più coerente dare ai legami che nascono già fittizi uno stato virtuale, mentre dall’altra ne farei volentieri a meno: non ho mai cercato un pubblico, ma esporsi su un social attraverso il proprio lavoro per me costituisce il compromesso migliore per poter continuare a fare quello che faccio, anche se soffro il fatto di dover privare chi guarda della dimensione tattile e olfattiva che hanno i pezzi.
-Se sei a Milano, come influisce su di te questa città? Il luogo in cui ti trovi ha un’influenza su di te e sulla tua opera?
Ho vissuto quasi cinque anni a Milano e qualche mese all’estero, ma non mi sono mai davvero sentita a casa ed il mio lavoro ne ha risentito parecchio. Penso che l’ambiente circostante sia importantissimo, o almeno lo è per me che di mio convivo con un brusio interiore costante; Milano è stata iper stimolante per la marea di eventi e mostre che offre, ma non me ne sono mai sentita parte. Dopo la laurea mi sono trasferita in un luogo completamente diverso dalla città in cui ho studiato, più verde e tranquillo, ed ora sono di nuovo in movimento. La natura selvaggia dei luoghi in cui ho vissuto e da cui provengo è molto più in sintonia con me e con i miei ritmi, che sono quelli naturali: da pesce fuor d’acqua ad uccellino in gabbia posso confermare che nonostante non sia impossibile conservare l’istinto sforzandosi di adattarsi, non fa bene all’anima.
-Cosa vuoi esprimere con le tue opere? Qual è il loro fine ultimo?
È difficile da spiegare, perchè quello che vedo non coincide mai con quello che sento. Quello che mi muove ogni volta che creo qualcosa è la sensazione di una mancanza, o della necessità della riscrittura della realtà. Nel passare dai soggetti dei disegni a quelli dei gioielli il mio lavoro ha conservato uno stretto legame con il corpo. All’inizio affrontavo i piccoli grandi problemi esistenziali sulla superficie della pelle, e poi qualcosa è letteralmente “esploso”, nel senso che sono passata dal bidimensionale al tridimensionale, e sono nati i gioielli, dei quali ognuno è sia un prolungamento del corpo che una sua manifestazione interiore, un’estroflessione. Poi , francamente, penso che l’uomo abbia bisogno di bellezza per migliorarsi.
OBBIETTIVI
-I tuoi prossimi obbiettivi, progetti
I mie progetti ed i miei obbiettivi cambiano e crescono con me, ma rimangono sempre conoscere per conoscermi meglio. Sicuramente ritornare a viaggiare, ampliare collaborazioni e sperimentare materiali. E continuare a studiare anche non ufficialmente, perchè la sazietà è un obbiettivo che con il nutrimento interiore non si raggiunge mai davvero.
-Come e dove ti vedi tra cinque anni?
A Neist Point, la punta occidentale dell’isola di Skye. La mia vita per qualche motivo è priva di noia, ho imparato che tutto può cambiare in un battere di ciglia. Penso che sarà tutto esattamente com’è oggi come sono oggi, con qualche pezzo di corazza in meno e con qualche soddisfazione e realizzazione in più.
-Infine, ci indicheresti tre giovani artisti, magari appena usciti da una scuola di Milano, che come te si differenziano dagli altri?
Tenete d’occhio Elias Bertoldo, Emanuela Dimino e Simone Parise.
Potete trovare Sara anche su INSTAGRAM, FACEBOOK, e il suo SITO.
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