Riccardo D’Avola-Corte

Stratificazione di realtà

L’ osservatorio del panorama artistico milanese da parte del nostro magazine riprende con l’intervista a Riccardo D’Avola Corte: un giovane artista molto radicato nel presente e con una spiccata tendenza a cogliere la permeabilità della vita. Dopo la formazione a Milano, Riccardo viaggia molto alla ricerca della singolarità, della diversità e dello scambio, portando con se la ricchezza degli incontri fatti. Le sue opere sono tensioni, stratificazioni che aprono uno squarcio verso il suo io interiore.

 

Riccardo D'Avola-Corte, the Embrace

PRESENTAZIONE

-Allora Riccardo… raccontaci un po’ da dove vieni, chi sei, quanti anni hai? 

Mi chiamo Riccardo D’Avola-Corte, sono nato a Gaeta ma sono cresciuto in Sicilia. Sono un’artista, e ho 27 anni.  Ho lasciato Milano da ormai sei anni ed ora vivo e lavoro a Cefalù, ma ho viaggiato molto in questi anni, mi piace confrontarmi e incontrare persone, rapportarmi con realtà diverse.

 

Riccardo D'Avola-Corte

INTERESSI

-Iniziamo con qualche domanda di carattere generale, ti piace la musica? Hai un cantante, gruppo preferito?

Amo la musica… ma non ci sono gruppi o cantanti preferiti, ma “This is not” di Traumprinz è di sicuro il mio album preferito. E poi la traccia di Prince Of Denmark – Countless Worlds Illuminated ha quel misto di luci e ombre che è più un’immagine in movimento che una semplice traccia.

 

-Ci suggerisci un film che secondo te tutti dovrebbero vedere?

Secondo me sono troppi i film che secondo me si dovrebbero vedere: da Blade Runner (sia il primo che il secondo) ad Akira o The knight of cup di Terrence Malick, Viaggio a Tokyo di Yasujiro Ozu, Hana.bi di Takeshi Kitano.

 

-Entrando nel vivo della questione artistica… qual è la forma d’arte che preferisci? (da andare a vedere/ a cui assistere: fotografia, pittura, scultura, performance, ecc..) C’è un artista contemporaneo che consideri assoluto o che sia una fonte d’ispirazione?

Ci sono tante artiste e artisti che posso considerare una fonte “d’ispirazione”  da Lara Favaretto a Artemisia Gentileschi, da Tintoretto a Goya,  fino ad Emilio Vedova a Chris Burden e Felix Gonzales-Torres.

 

-C’è un momento della giornata che ti piace particolarmente? Ci sapresti piegare il perché di questa preferenza? 

La mattina è il momento che preferisco. Mi piace la luce che segue la notte, il veder finire un giorno mentre ne inizia un secondo. Il momento in assoluto più bello per me è l’alba, proprio per la luce e per questo mutamento. Anche sul piano percettivo, il far caso al variare della temperatura. Trovo che non lo si debba dare per scontato.

 

Riccardo D'Avola-Corte

 

Riccardo D'Avola-Corte, The end of every dreams

LAVORO

Come nasce il tuo interesse per la ricerca artistica?

Non voglio fare quei discorsi retorici che solitamente si fanno, ma posso dire che sono molto affascinato e attratto  da quel mistero profondo che è l’arte e che è contenuto in lei. Ogni lavoro è una chiave per accedere, una stratificazione di realtà da cui emerge il lato più irrazionale di me, è una voragine in quella dimensione. Non amo definire le cose ma potrei dire che ogni opera è una forma di tensione, di sprofondamento.

 

-Raccontaci come nasce un tuo lavoro. Parti da un’idea, una sensazione o che altro?

Il lavoro nasce da un’urgenza, dall’urgenza di esprimersi, di dover dire… di voler sconfinare pur rimanendo agganciato al “presente”. Cerco e ho cercato di strutturarmi proprio per potermi lasciar andare nella maniera più autentica in ciò che faccio a mani nude davvero, scontrandomi proprio fisicamente… nel tentativo di sconfinare…

 

 

– Ci hai accennato ai tuoi viaggi… porti molto dei luoghi che visiti nel tuo lavoro artistico? 

Si, ma non è mai una influenza paesistica o paesaggistica. Si tratta di qualcosa legato alle relazioni, all’incontri che si fanno. Viaggiando ci si trova a confrontarsi con l’imprevedibilità. Apprezzo l’emozione del viaggio e la permeabilità che fa emergere, l’impossibilità di agire secondo un ordine precostituito.

 

-Questo certamente influenza anche la tua visione della vita, cosa ci dici a riguardo?

Si, penso che vivere in relazione al futuro è una delle grandi menzogne del’900. Si è confuso il presente con l’attuale, pensando spesso solo al futuro e ad una speranza di miglioramento ma, infondo, si vive ogni giorno. Vivere significa strutturare i rapporti con le persone, cercare umanità, autenticità.

 

Riccardo D'Avola-Corte, Dimenticherò il tuo abbraccio in una notte d’inverno ma non potrò dimenticarmi della tua luce in una giornata di pioggia.

 

-Ritornando alla tua produzione, da dove ti è venuta l’idea e come ci sei arrivato?

Non è un’idea ma un incontro, un rapporto direbbe Emanuela. Penso spesso a Leopardi, al suo perenne tentativo di comprendere ciò che è ( e dico “è” in quanto il suo pensiero vive nelle pagine da lui scritte) distante da lui e farlo proprio, accogliendo la mancanza, accogliendo l’abisso, questa distanza vicinissima e lontanissima, Calvino ne parla molto bene. Poi c’è Kafka…

 

-Un’emozione che sapresti nominare mentre lavori?

Non saprei, quando lavoro sono in altri mondi. Posso solo dire a priori che nasce da un’urgenza, da una tensione profonda, dalla necessità di scavare, di andare in profondità. Una persona a me molto cara mi ripeteva spesso e lo cito testualmente: “Riccardo, ma senza un problema ma dove vuoi che vada l’esperienza dell’arte.”

 

-Che cosa sentivi necessario: fare qualcosa di diverso, oppure andare oltre? Avevi un’idea chiara di quello che bisognava fare?

Non ci sono idee, gli artisti con le idee mi fanno sempre paura…

 

-Prima di cominciare a lavorare hai già l’idea di come sarà il tuo lavoro? Oppure è quando cominci che hai un’idea di quello che farai?

So cosa sto cercando delle volte è più chiaro delle volte c’è una fitta nebbia, c’è qualcosa che mi trasporta chissà poi dove…C’è un’immagine, un movimento, c’è qualcosa, che muta costantemente nel mio sguardo…

 

Riccardo D'Avola-Corte

 

-Che ruolo svolgono i titoli per te? E quando li assegni? Di solito i titoli vengono prima o dopo che hai finito il tuo lavoro?

I titoli sono fondamentali nel mio lavoro, frammenti, stralci di vita vissuta, di un’intimità condensata, di emozioni mie, ma anche tue, nostre, vostre… credo ci sia una dimensione di apertura nel titolo di un’opera, direi che sono un ponte tra l’opera e chi la guarda, chissà poi chi…C’è sempre un vissuto nel mio lavoro quindi so cosa vi è contenuto in quella frase che è il titolo, delle volte lo metto più a fuoco nel fare l’opera ma in genere sempre prima.

 

-Quale sarebbe il loro significato?

Non un significato ma una forma di cristallizzazione temporanea…

 

-Senti che c’è un modus operandi o un materiale che definisce appieno la tua essenza artistica? 

Partirei con il premettere che non si tratta di modus operandi, ma piuttosto di modus vivendi. L’arte è come la voce che mi appartiene e dopo l’Accademia, la scelta di prendere un anno per studiare più profondamente, mi ha permesso di arrivare a una sorta di incontro. Uso spesso la materia sintetica come il Poliuretano. Questo sembra avere una sua volontà, poiché si imprime la direzione iniziale ma di fatto non si ha controllo della sua espansione, è una materia inorganica che prende vita. All’estremo opposto, uso spesso materiali naturali disidratati come l’agave. Sono materie che hanno terminato un ciclo e che io inserisco in un ciclo nuovo mettendole in uso, nell’esaurimento della vita naturale hanno una seconda esistenza. Cerco di far coesistere queste due materie. E’ come se due ere si toccassero, si vede la differenza di una cosa fatta dall’uomo e di qualcosa che invece proviene dalla natura, slegata dalle sovrastrutture.

 

Riccardo D'Avola-Corte, I never been your...

 

-Cosa pensi che sia un artista? Come lo definiresti?

Penso che la questione fondamentale ruoti attorno l’essere un artista o fare l’artista. Fare l’artista è a tutti gli effetti un lavoro, ma del resto io non concepisco mai il linguaggio dell’arte come scisso da me. L’arte è la mia voce, il modo in cui mi esprimo in totale nudità perché emerge il lato più profondo di me che fuoriesce dalla dimensione sociale del mondo, tramite l’arte si entra in un territorio senza giurisdizione. Per quanto riguarda il ruolo dell’arista, penso che l’importante sia fare, a prescindere da quelle idee di salvezza che esistono rispetto a questa figura. Non ho una visione eroica dell’artista. Fare l’artista per me significa captare dettagli della realtà ed esprimersi. L’artista è una persona come gli altri che si esprime tramite quello che fa.

 

-Riguardo alla tua produzione più nello specifico, cosa ci dici del tuo processo di lavoro? 

C’è sempre una fase in cui confluiscono gli studi, le stratificazioni. Trovo molto importante metabolizzare sui contenuti e assimilarli naturalmente ma certamente è fondamentale anche il veder, sentire, viaggiare.

 

-Quand’è che senti che un lavoro è finito?

Quando mi dice basta, altrimenti scaverei cosi tanto da non far rimanere più niente, “Giacometti docet”.

 

-Ti capita di doverti fermare mentre stai lavorando, perché non hai in casa il tipo di pezzo o di materiale che ti serve, e di dover aspettare finché non lo trovi?

Si, capita che nel realizzare un lavoro si stratifichino delle cose e dunque sento la necessita di dover uscire dallo studio e mettermi alla ricerca di “ciò che mi manca”, e anche un modo per lasciar riposare il lavoro…

 

-Quale lavoro secondo te funziona di più rispetto agli altri?

Non la metto mai in questi termini, ogni lavoro ha una sua vita e una sua dimensione, ci sono dei lavori a cui sono più legato, ma non uso mai la parola “funziona”.

 

-In merito alla tua formazione, hai fatto un percorso all’accademia di Belle Arti… come descriveresti questo viaggio, come ti sei trovato? (Immaginiamo che questo percorso ti abbia lasciato qualcosa, degli strumenti di lavoro che utilizzi o delle influenze particolari).

E’ stato un viaggio molto denso, sono riuscito ad intercettare delle persone con cui si è creato un rapporto bellissimo, sincero, vivo… Diciamo che secondo me l’accademia è stata una palestra, un punto da cui iniziare.

 

Riccardo D'Avola-Corte

 

-Qual è il tuo lavoro che finora è stato più apprezzato? E quale quello che tu preferisci?

Il più apprezzato non lo so ma direi “The embrace” che ho realizzato per la mostra collettiva “Dio c’è” da Ultrastudio (Pescara), ma anche due sculture della serie “I never been yours…” sia quello esposto nella mia mostra personale per final hot desert e poi recentemente esposto a Los Angele da Hyperspace Lexicon, che la versione realizzata per la mostra da Like a Little Disaster, invitato da Essenza club, sono stati molto apprezzati. Non ho una vera preferenza i miei lavori sono a loro modo tutti importanti ognuno per diverse ragioni

 

INTERAZIONE CON IL MONDO ESTERNO

-I social sono ormai una piattaforma indispensabile per pubblicare i propri lavori ed essere conosciuti; tu come vivi questa dimensione, e soprattutto, quanto la reputi importante per ciò che fai?

Per me è stato davvero  importante, in quanto vivo lontano dai centri dell’arte, mi ha permesso di vivere e lavorare dove voglio. Anche se credo che non ci sia solo questo, prima di tutto bisogna vivere davvero fino in fondo, i social sono uno strumento, un supporto che mi permette di poter “condividere” una parte (forse la sua superficie) di ciò che faccio col resto del mondo.

 

-Come ha influito su di te la permanenza a Milano?

Devo dire che Milano è stata dura e difficile, ma anche importante, mi ha fatto capire tante cose.

 

-Quali sono i tuoi prossimi obbiettivi e progetti?

Flaiano direbbe “io faccio progetti solo per il passato” il futuro è uno stato d’ansia perenne e a me interessa vivere, vivere in questo presente che ci sfugge costantemente… mi interessa di più essere consapevole su ciò che è in una dimensione concreta. Nel presente giorno per giorno questo me lo ha insegnato A. (Lo confessa riferendosi all’amata e sorride)

 

-Quali sono i progetti che non sei ancora riuscito a realizzare?

Ce ne sono alcuni, ma riuscirò a realizzarli, altri invece è bello che rimangano incompiuti, forse verranno fuori dei frammenti…

 

Riccardo D'Avola-Corte

 

-Infine Riccardo, per congedarci, ci indicheresti tre giovani artisti che stimi ed ammiri di Milano?

Stimo ed ammiro diversi artisti di Milano, in particolare se dovessi indicarvi tre nomi partirei da un’artista con cui mi sento profondamente legato da una grande amicizia e stima che è Dario Bitto. Poi Lucia Leuci che ho avuto modo di conoscere di persona un anno e mezzo fa e che trovo veramente essere un’artista bravissima e anche una persona splendida. Michele Gabriele con cui ho anche avuto modo di trascorrere un pomeriggio se pur in video-call è stato molto bello confrontarsi con lui.

 


Ringraziamo Riccardo per aver risposto alle nostre domande, continuate a seguirlo dal suo profilo Instagram

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