Simone Parise

Sintesi espressiva – immagini tra passato e presente

L’estetica di Simone Parise fonde il ritratto sette-ottocentesco con l’espressività contemporanea. Le sensazioni che questo giovane pittore figurativo cattura sono formalmente trasposte nella ricerca di una composizione tradizionale che ne trasmetta le vibrazioni. Al contempo, queste vengono attualizzate dalla predilezione per il colore pop e dal solo abbozzo di espressione nei volti. Quella di Simone è una sintesi efficace e personale, una messa in dialogo tra la storia e il presente.

 

Simone Parise, Figura Insepolta, 2021

 

PRESENTAZIONE

-Allora… raccontaci un po’ da dove vieni, chi sei, quanti anni hai?

Sono nato a Como, e ho sempre vissuto nei paraggi, in città non troppo grandi ma non troppo piccole. Come spesso capita, durante l’infanzia mi veniva spesso detto che ero bravo a disegnare, ovviamente non era vero, ma il mio essere introverso fece si che il rinforzo positivo mi spinse a continuare a farlo, per cui col tempo sono diventato bravo. Ho sempre saputo di saper fare quello e di voler perseguire quella strada. Al momento della scelta del liceo ho optato per l’istituto d’arte di Decorazione, dove ho potuto apprendere molto dal punto di vista tecnico o sull’arte antica, ma nulla rispetto al contemporaneo.

In seguito, spinto da un momentaneo approccio pragmatico verso il lavoro ho scelto di iscrivermi alla scuola di Nuove tecnologie presso l’accademia di belle arti di Brera, ma me ne sono pentito ancor prima di cominciare. L’anno successivo sono passato a pittura, vivendo alcuni degli anni più importanti della mia vita. Ora ho ventotto anni.

 

-Di cosa ti occupi?

Si può dire che in questo momento, in un modo o nell’altro, io stia vivendo il breve sogno di occuparmi esclusivamente di pittura, probabilmente ciò non durerà a lungo, ma per il futuro chissà.

 

Simone Parise, ll Bacio, 2020

 

INTERESSI

-Ti piace la musica? Hai un cantante, gruppo preferito?

Si dice che a tutti piaccia la musica, a me piace particolarmente. Mi piace come mi piace ogni arte, quando è complessa, stratificata e comunicativa. Da un lato sono rimasto molto legato alle atmosfere Folk/Country statunitensi, soprattutto quando un po’ dark. In questo senso considero eccezionale tutto il percorso di David Eugene Edwards, con i suoi gruppi 16 Horsepower e Wovenhand. Dall’altro lato amo come genere il Progressive, in particolare quello di questi ultimi decenni, con gruppi come Opeth, PorcupineTree/Steven Wilson in ambito europeo o Tool in territorio americano. Negli ultimi anni potrei dire che l’album che prediligo sia Fear Inoculum proprio dei Tool.

 

-Un film che secondo te tutti dovrebbero vedere?

Credo nessuno, mi piace l’idea che ognuno guardi ciò che vuole. Ogni grande opera parla il proprio linguaggio e tocca corde che non sono di tutti, personalmente sono cresciuto amando moltissimi film e autori tra cui chi mi ha formato maggiormente credo sia stato David Fincher. Ora non guardo più tanto cinema come anni fa, ho iniziato a filtrare molto di più e a selezionare più attentamente ciò che vedo, e di recente ho scoperto le opere di alcuni giovani autori che mi hanno interessato ed entusiasmato, tra cui soprattutto Robert Eggers. Più nello specifico potrei dire che i film più belli e importanti per me siano stati Inland Empire di David Lynch e Nosferatu di Werner Herzog, ma tutti questi sono autori e opere che consiglierei a qualcuno ma sconsiglierei a molti.

 

Simone Parise, Untitled 5, 2017

 

-Qual è la forma d’arte che preferisci? (da andare a vedere/ a cui assistere: fotografia, pittura, scultura, performance, ecc..) C’è un artista contemporaneo che consideri assoluto o che sia una fonte d’ispirazione?

Posso dire con sicurezza di prediligere la pittura ad ogni altra forma estetica, è la ragione per cui l’ho scelta come mio linguaggio. Amo la capacità dell’immagine pittorica, immobile e imperfetta, di saper essere così personale e allo stesso tempo, superando l’idea di narrazione, saper raggiungere il vero cuore della questione, qualsiasi essa sia. Sfortunatamente per quanto riguarda il mondo dell’arte contemporanea trovo così raro riuscire ad incontrare una qualche opera pittorica capace di arrivare così a fondo, e quindi di impattare sensibilmente su di me, che quasi vorrei rispondere in maniera diversa. Forse direi il cinema, o forse anche il videogioco, mezzo espressivo che non gode di alcuna credibilità in ambito intellettuale e accademico ma che oltre ai preconcetti è un medium che da tempo in è grado di regalare alcune delle più intense opere a cui abbia mai assistito e anche preso parte, Silent Hill 2 ne è un esempio esplicativo, ma non solo. Tornando alla pittura però, l’autore che più ho sentito vicino e rappresentativo di ciò che per me è arte è Francis Bacon, la complessità, la consapevolezza e la lucida forza che mostrano le sue opere, se si va oltre la mera superficialità, sono quanto di più assoluto io abbia mai trovato nell’arte. Per restare al contemporaneo più stretto potrei invece citare Nicola Samorì, quando scoprii le sue opere ne rimasi stupefatto, intontito. Ultimamente mi sto discostando da quel tipo di estetica, non lo definirei “assoluto”, ma sicuramente la sua rimane parte di quella rara e meravigliosa pittura che sa entrarmi dentro.

 

-C’è un momento della giornata che ti piace particolarmente?

Non penso, sono un tipo tendenzialmente mattiniero ma che momento della giornata preferisco dipende dalla giornata nello specifico, dall’atmosfera del momento o dal clima. Amo la pioggia, o ancor meglio la neve.

 

Simone Parise, Untitled 6, 2017

 

LAVORO

-Come nasce il tuo interesse per la ricerca artistica?

Direi che sicuramente il periodo fondamentale è stato il primo anno di Pittura all’accademia, dopo anni di Istituto d’arte in cui solo un professore ha anche solo nominato qualche artista contemporaneo, a Brera ho dovuto scoprire cosa fosse l’arte oggi. Ho avuto molta fortuna con i professori e non meno con i loro assistenti, ed ero già predisposto di mio, ma una volta entrato in quel mondo fatto di costante evoluzione e mutamento di pensiero, di comunicazione e di ricerca, non mi è stato più possibile uscirne.

 

-Da dove ti è venuta l’idea e come ci sei arrivato?

Per quanto riguarda la mia ricerca pittorica è nata quasi per caso. Ho sempre lavorato sulla figura umana, soprattutto sul volto, deformandolo e stravolgendolo come molti fanno, ma nel 2015, in occasione dell’expo a Milano ci è capitato un progetto che prevedeva la rielaborazione del noto dipinto “Il bacio” di Francesco Hayez. In quell’occasione sono inconsapevolmente riuscito ad unire tutto ciò che ho sempre amato nella pittura, è stato come se improvvisamente tutto tornasse. Così è nata l’estetica che ancora oggi porto avanti.

 

Simone Parise, Untitled 9, 2017

 

 

-Un’emozione che sapresti nominare mentre lavori?

Mi verrebbe in mente “concentrazione”, o “aspettativa” o “curiosità”, Ma non sono emozioni… Non sono un tipo particolarmente emotivo.

 

-Che cosa sentivi necessario: fare qualcosa di diverso, oppure andare oltre? Avevi un’idea chiara di quello che bisognava fare?

In passato, agli inizi del mio percorso, ho sempre e solo voluto fare qualcosa di mio, che mi soddisfacesse appieno, e credo di esserci riuscito più volte. È con gli anni che ho iniziato a pretendere molto più da me stesso, a voler andare oltre la produzione esageratamente specifica e talmente parziale da risultare interessante per un numero quasi inesistente di persone. Sicuramente nessun opera d’arte potrà mai essere totale, ma penso sia importante per un autore avere questo assurdo intento da perseguire. Sul come farlo attraverso la mia ricerca non ho mai avuto le idee troppo chiare, tendo ad avere una visione e un approccio in costante mutamento, e a volte questo porta a errori non da poco, ma spesso, se non sempre, gli errori sono ciò che ci fa più progredire, per cui sono ben accetti.

 

Simone Parise, Untitled 11, 2017

 

 

-Prima di cominciare a lavorare hai già chiara l’idea di come sarà il tuo lavoro? Oppure è quando cominci che hai un’idea di quello che farai?

L’inizio del lavoro, per quanto riguarda me, corrisponde all’acquisto del telaio di una certa dimensione specifica, della tela e dopo la preparazione di alcuni vaghi bozzetti, all’acquisto di eventuali colori necessari. Durante questo processo un’immagine si forma inevitabilmente nella mia mente, la quale continua a mutare durante l’esecuzione del lavoro. La mano non può tradurre con fedeltà assoluta ciò che la mente immagina, ma dove ciò che immagino e ciò che riesco a produrre si incontrano si ottiene l’opera. Non si direbbe forse, ma c’è una buona percentuale di “inaspettato” in ciò che faccio.

 

-Che ruolo svolgono i titoli per te? E quando li assegni? Di solito i titoli vengono prima o dopo che hai finito il tuo lavoro?

Ad essere onesto non ho un buon rapporto con i titoli, non nego che ciò possa cambiare in futuro, ma per ora oscillo tra il volerli assegnare ma il non riuscirci e il considerarli dal punto di vista pittorico completamente inutili. Forse mi infastidisce l’idea che il linguaggio scritto debba interferire con il linguaggio pittorico e in qualche modo dare una sorta di chiave di lettura, mi sembra in qualche modo un ammettere di aver in una certa misura fallito come pittore, vorrei che l’opera dicesse ogni cosa potendo restare solo un’immagine, cosa che so per certo essere del tutto possibile, soprattutto grazie ad un autore come Francis Bacon.

 

Simone Parise, Untitled 11, 2017

 

 

-Quale sarebbe il loro significato?

Solo ultimamente ho iniziato ad usare titoli ma potrei dire che l’ho fatto solo per ragioni commerciali, per avvicinare uno specifico pubblico ad una certa opera o se devo piegarne una ad un tema imposto.

 

-Quand’è che senti che un lavoro è finito?

Non esiste un momento specifico in cui so che l’opera è terminata, smetto di lavorare quando attraverso l’esperienza e le conoscenze tecniche mi rendo conto che qualsiasi aggiunta sarebbe accessoria e non richiesta dall’immagine, e facendo una pittura di tipo figurativo mi riesce abbastanza facile. Capita che mi accorga di dover fare aggiunte anche dopo mesi a un dipinto, non mi capita mai di esagerare però, molte persone tendono a lavorare troppo un’immagine e per cui ad appesantirla, a rovinarla. Io ho piuttosto la tendenza opposta credo.

 

Simone Parise, Untitled 22 , 2017

 

Simone Parise, Untitled 23 , 2017

 

-Ti capita di doverti fermare mentre stai lavorando, perché non hai in casa il tipo di pezzo o di materiale che ti serve, e di dover aspettare finchè non lo trovi?

No non è un tipo di problema che mi capita, la scelta del materiale fa parte della creazione di un’opera per quanto mi riguarda, mentre scelgo o acquisto i materiali e i colori posso elaborare l’immagine, per cui mentre dipingo ho sempre tutto il necessario.

-Quale lavoro secondo te funziona di più rispetto agli altri?

È una domanda a cui ogni mese darei probabilmente una risposta diversa, attualmente ripenso spesso ai primi lavori che hanno segnato le fondamenta del mio percorso, nessuno nello specifico, erano anche fatti piuttosto male, ma penso avessero qualcosa in più. Forse il lavoro che considero meglio riuscito in generale è la riproduzione del ritratto della principessa Sissi che ho elaborato sui toni del verde smeraldo.

 

-Raccontaci come nasce un tuo lavoro. Parti da un’idea, una sensazione o che altro?

Parto decisamente da una sensazione, o da un tipo di mood estetico che costruisco inconsapevolmente leggendo o guardando film o altre opere, ma anche camminando per la strada o parlando con persone interessanti. Ad un certo punto so di voler iniziare un’opera nuova, ho voglia di fare solo quello e a quel punto di solito trovo un’immagine di un ritratto del Sette-Ottocento che corrisponde esattamente a ciò che ho in mente, o meglio, che guardandola mi permette di concretizzare quel tipo di sensazione in un’immagine che finalmente posso iniziare ad immaginare.

 

Simone Parise, Untitled 24 , 2017

 

-Hai fatto un percorso all’accademia di Belle Arti; come descriveresti questo viaggio, come ti sei trovata? Immaginiamo che questo percorso ti abbia lasciato qualcosa, degli strumenti di lavoro che utilizzi o delle influenze particolari.

Credo che si possa dire che l’accademia ti sia servita a qualcosa se riesce a cambiarti in qualche modo. A me ha cambiato radicalmente come persona soprattutto nel primo anno alla Scuola di Pittura ma non solo, ogni anno all’interno dell’accademia potrei dire che mi ha trasformato sensibilmente. Da un lato ho avuto la fortuna di essere studente di una serie di professori grazie ai quali ho potuto vivere un percorso coerente, crescere attraverso una vera e propria scuola di pensiero e di senso pratico che ho subito sentito affine. Dall’altro, credo di aver avuto fin da subito un approccio efficace, cercando di assorbire, per poi approfondire, più conoscenze ed esperienze possibile senza mai aspettare che mi venissero imboccate. Da molti punti di vista si potrebbero muovere diverse critiche a Brera, e forse è anche giusto farlo, ma egoisticamente ho sempre visto l’accademia come un luogo in cui è presente tutto ciò che serve per diventare ciò che ho sempre voluto diventare, tutto sta nel saperselo prendere. In questo modo posso affermare che l’accademia ha saputo insegnarmi non solo il mestiere che ero li ad imparare, ma anche e soprattutto, le capacità  e la consapevolezza di saper proseguire in autonomia per la mia strada.

 

-Qual è il tuo lavoro che finora è stato più apprezzato? E quale quello che tu preferisci?

Attualmente mi trovo in un momento in cui sto rivalutando molte cose sul mio lavoro, per cui farei fatica a dire quale preferisco, spero che saranno quelli che sto progettando e realizzerò nei prossimi mesi. Per quanto riguarda il pubblico credo di poter dire con sicurezza che il più apprezzato sia la mia ultima riproduzione di una delle versioni del Bacio di Hayez che ho realizzato nel 2020.

 

INTERAZIONE CON IL MONDO ESTERNO

-I social sono ormai una piattaforma indispensabile per pubblicare i propri lavori ed essere conosciuti; tu come vivi questa dimensione, e soprattutto, quanto la reputi importante per ciò che fai?

Non nego che questi luoghi virtuali siano oggi indispensabili per la visibilità, tuttavia li trovo particolarmente deleteri e dannosi per ciò che faccio. Ci si dimentica che i social sono luoghi creati attraverso un design specifico che ne condiziona l’utilizzo per fini commerciali. Al loro interno non si agisce liberamente e nessuno dei loro presupposti aiuta in qualche modo la complessità di un’opera d’arte. L’incessantismo reso necessario, e di conseguenza la reiterazione di contenuti prevedibili e sempre uguali a loro stessi, la strabordanza di immagini, la perenne superficialità e la totale disattenzione che questi luoghi online impongono e così via, fanno si che i social per quanto mi riguarda rimangano qualcosa da usare malgrado tutto, finché non si conquista la possibilità di non farlo più. Inoltre personalmente ripudio l’ostentazione di sé stessi e l’egocentrismo, per cui non riesco ad andare d’accordo con quel tipo di mondo.

 

Simone Parise, Untitled 88

 

-Sei stato a Milano, come ha influito su di te questa città? Il luogo in cui ti trovi ha un’influenza su di te e su ciò che produci?

Penso che sia inevitabile per chiunque essere profondamente influenzati dal luogo in cui ci si trova, in questo senso credo che sarebbe importante imparare a scegliere consapevolmente il luogo in cui si vive e/o si lavora piuttosto che subirlo, come spesso accade. Milano in un certo senso è stata per me una scelta obbligata, ma non sarebbe potuto andarmi meglio. È una città che ancora oggi conosco solo superficialmente, non l’ho vissuta come avrei potuto, ma per uno studente di pittura che per definizione deve cercare di percepire nel modo più ampio possibile ciò che sta fuori di sé, il mondo e imparare a comunicare con esso, lavorare in una grande città come Milano diventa indispensabile. È vero anche che un simile luogo non ha solo effetti positivi su di me, dopo un certo periodo ho sempre bisogno di allontanarmi dalla città per isolarmi dove si possa godere del piacevolissimo silenzio, ma soprattutto dopo questo periodo, in cui a causa della pandemia sono dovuto stare lontano da Milano per più di un anno, ho potuto rendermi conto di quanto mi siano mancati tutti gli stimoli che solo da un simile luogo si possono ricevere.

 

-Quali sono i tuoi prossimi obbiettivi e progetti?

Ciò che più mi preme per il prossimo futuro è il concretizzare dal punto di vista professionale l’investimento di una vita verso la pittura. Per ora dipingo come fosse una materia di studio. Ho concentrato ogni mia energia da studente verso il cercare di produrre opere di qualità tecnica e intellettuale. Ora, terminati gli studi in accademia, la ricerca continuerà, ma sento che è arrivato il momento di rendere ciò che faccio anche una professione. Ovviamente tutti sappiamo quanto sia difficile, o anzi quasi impossibile vivere di pittura, ma quella è la direzione verso la quale sento di voler andare.

 

-Quali sono i progetti che non sei ancora riuscito a realizzare?

Per prima cosa non sono ancora riuscito ad ottenere da me stesso la qualità pittorica, sia tecnica sia concettuale che desidero, il mio primo scopo da raggiungere sarà sempre quest’ultimo, ma più pragmaticamente ciò che più vorrei fare da anni è un’esperienza all’estero, imparare dignitosamente una lingua e allargare le mie possibilità professionali e culturali.

 

-Cosa significa per te essere artisti oggi?

Potrebbe sembrare superfluo o ovvio, ma credo fermamente che prima di tutto per essere un artista oggi, così come sempre è stato, si debba aver costruito le fondamenta necessarie per poter svolgere efficacemente il proprio mestiere, sia dal punto di vista artigianale sia da quello intellettuale.

Quando si controlla appieno la propria tecnica e il proprio linguaggio, allora penso che ci si possa porre realmente il problema dell’essere artista, che secondo me consiste oggi nell’accettare la sfida, cercare di emergere dal caos della sovrabbondanza di immagini e opere estetiche mediocri, egocentriche o nate da esclusivi intenti commerciali e accettare l’enorme sforzo di non essere uno dei tanti, uno che persegue il proprio percorso parallelo al mondo, ma cercare invece di dire qualcosa in più, qualcosa di significativo, stratificato e complesso al pubblico osservante.

Le cose si complicano nel mio caso, ovvero per quanto riguarda le arti visive tradizionali come la pittura, dove accettare la sfida significa anche dedicare la propria vita alla realizzazione di un prodotto per cui non esiste alcun vero mercato o richiesta, un prodotto che ha valore economico solo per una nicchia così piccola da diventare quasi irrilevante. In definitiva penso che essere un artista oggi significhi non poter fare altro se non accettare tutto ciò, pur essendo consapevoli che il fallimento è quasi certo.

 

-Infine, ci indicheresti tre giovani artisti che stimi ed ammiri di Milano?

Una giovane artista che ho avuto il piacere di conoscere e in un certo senso anche di lavorarci assieme è sicuramente Tamara Ferioli. Autrice di opere meravigliose, la quale mi ha anche insegnato moltissimo. Un altro è Carlo Alberto Rastelli, che invece non conosco personalmente, ma ho la fortuna di vedere spesso dal vivo le sue opere a Milano, le quali mi ricordano in ogni occasione quanto l’asticella che fisso per me stesso dovrebbe sempre essere posta più in alto. Potrei citare diversi altri nomi, anche solo tra i giovani studenti provenienti dalla mia stessa Scuola di Pittura. Una in particolare è Chiara Melluso. Compagna di discussioni con la quale non concordo praticamente su nulla, ma sempre fonte di insostituibili stimoli e autrice di almeno un paio di dipinti che reputo tra le più belle immagini di arte contemporanea che abbia potuto vedere.

 


Ringraziamo Simone per aver risposto alle nostre domande, continuate a seguirlo sul suo profilo Instagram 

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